domenica 30 agosto 2009

EREMOS, FINE AGOSTO 2009, ALBENS

Dritto dritto dall'Eremos.
E' stata un'ottima esperienza, da collezionare.
La quantità degli insegnamenti, degli spunti di riflessione, dei pensieri che mi sono venuti, le riflessioni che ci sarebbero da fare sono tantissime. Penso che ci potrei riempire un libro.
Innanzi tutto confermo quello che pensavo, il primo insegnamento è l'insegnamento stesso, o per dirla in modo più complicato, non è l'oggetto dell'insegnamento quanto il soggetto che occorre realizzare.
E fin qui uno potrebbe mandarmi a quel paese perchè gli ho fatto una confusione in testa pazzesca.
Mi spiego: realizzare che non si smette mai di poter apprendere e quindi di imparare è una cosa fondamentale, è ciò che ci fa maturare. Sembra una cazzata, ma realizzarlo profondamente è gran cosa. E' darci la possibilità di migliorare, è mettersi un paio d'occhiali, per questi occhi ultra miopi con i quali siamo abituati a guardare il mondo, per vederlo meglio, con curiosità e voglia di vivere. E' un continuo cercare di vedere le esperienze della vita, belle o brutte che siano, oltre a come appaiono, cercare in modo intelligente e umile ciò che si potrebbe imparare, ed allo stesso tempo è non identificarsi in ciò che si vive perché risulta, così facendo, che lo si osserva da un punto di vista distaccato dal problema stesso e quindi più oggettivo oltreché attendibile.
Per questo la metafora direi che calza, è proprio affinare la vista. E molto di più.

LA PAURA DELLA MORTE
Chi ha paura di morire più di tutti? Chi si trattiene nel vivere. Chi vive a metà contando di riscattarsi in un futuro vede nella morte la fine di quella possibilità che tanto anela per raggiungere la felicità. Ha paura di morire anche chi realmente non crede che la morte è solo un passaggio bensì la vede come la fine di tutto.

DAVANTI ALLA MORTE RESTIAMO SOLO NOI
Davanti alla morte siamo da soli. Lo so che son ragionamenti strani da parte di un ragazzo che dovrebbe vedere solo la vita, ma ogni tanto bisogna essere consapevoli di essa, giusto per capire che stiamo vivendo e che il tempo che abbiamo per farlo non è infinito. Parlare della morte è un elogio per antonomasia alla vita stessa, per questo ci tengo a calcare il discorso.
Davanti alla morte esistiamo solo noi.
Tutto quello che abbiamo fatto o meno sono cavoli nostri. Alla fine comunque arriviamo là, è una delle poche certezze che abbiamo. Siamo soli, soprattutto direi, anche moralmente ed eticamente. Cosa voglio dire con questo? Che tutto ciò che abbiamo imparato può rovesciarsi nel suo significato dalla sera alla mattina. La morale e l'etica che ci stanno insegnando da quando siamo piccoli è densa di contraddizioni che non sappiamo spiegarci. Il solo fatto che ci abbiano fatto credere che, poiché siamo Italiani, è giusto difendere il nostro stato, i nostri confini e il nostro benessere. Quando lascerai il tuo corpo e capirai che tutto quello che sei stato non ha importanza alcuna, che potevi anche nascere in Africa in piena guerra del Darfur, che potevi anche essere uno di quegli immigrati clandestini che arrivano sui barconi, e che solo per caso sei nato italiano e benestante, potresti capire che l'etica (non so nemmeno se sia giusto chiamarla etica) dei confini degli stati e del difendiamo ciò che è nostro (che ribadisco è tale solo per caso) potrebbe anche essere sbagliata. Tutto ciò in cui crediamo, valori compresi, potrebbero sgretolarsi di fronte ad una rivelazione sul significato della vita, e sul senso stesso della vita, pre o post morte.
In questo senso invito a crearsi una morale propria, che vada al di là delle leggi scritte, delle consuetudini, degli stereotipi di comportamento e di "valore" di massa, ricercandone invece una propria e più pensata, interiorizzata, valida ed argomentata con franchezza e coraggio alla quale attenersi per diventare persone integre con la P e la I maiuscole. E' sicuro che raggiungere una morale di questo tipo richiede un grande lavoro, una profonda ricerca interiore e la capacità di abbracciare sempre la verità, anche se talvolta vuol dire rinnegare ciò che fino al giorno prima si credeva fosse vero. Anche perché, se così non fosse, si vivrebbe nell'illusione fino al giorno in cui questa cadrà, perché l'illusione prima o poi cade, è sicuro, e se non lo fa lo farà di certo nel momento della morte. Solo che allora non avremmo più tempo per vivere da svegli, no?

Detto questo mi avvicino alla conclusione di questo colossale post.
Per prima cosa devo ancora arrivare ad affrontare i temi che sono stati toccati. Queste riflessioni vengono in seguito ad una chiacchierata di una pausa pranzo. Non abbiate paura a ricordarmi che sono parecchio e sicuramente troppo cervellotico, ma si sa, ci sono pazzi a cui piace pensare. E vi garantisco che mantengo il mio sorriso da ebete anche toccando questi temi direi ostici, o secondo altri temi che solo i depressi arrivano a ponderare. Io non sono depresso, e me ne frego. Casomai sarò un ebete felice.

Chiudo con una frase stupenda che ci è stata donata e che mi ha toccato profondamente:

La suprema condotta è assenza di sforzo

Condurre una vita senza sforzo, pur tra gli sforzi. Vivere lavorando ma senza fatica, vivere faticando ma con il sorriso, come se fosse la cosa più bella del mondo. Assenza di sforzo, tutto accade e noi siamo come l'acqua, avvolgiamo i problemi, li lasciamo depositare senza sforzo, ci muoviamo nella vita senza attriti. Tutto diviene naturale. E' proprio una condotta suprema.

Voglio muovermi in questa direzione.
Ne sono attratto.

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