venerdì 30 maggio 2008

SPETTATORE A DISAGIO

Oggi posso constatare che il litigio, la disputa o la discussione non costruttiva ma distruttiva, o comunque la frase tagliente, la frecciatina antipatica, porta nervoso, odio, rabbia, fastidio, risentimento, verso i due o più attivi interessati e grande imbarazzo, disagio, in chi assiste impotente a quello scambio di battute.

Devo dire che mai prima di oggi, nelle volte che mi son trovato a dire una frase tagliente, litigare o quant'altro, ho preso in considerazione il fatto che anche chi assiste ma non è coinvolto viene leso nella sua tranquillità.

Il litigio porta solo male, i due interessati spesso concludono la disputa con molta rabbia dentro di loro, e gli spettatori con sentito disagio.

In questo caso l'armonia di un gruppo ne rimane particolarmente intaccata.

Da qui la sostanza del detto dialettale :"Le bèghe fevele fòr voi altri!", nel senso, se avete qualche battibecco risolvetevelo in privato!

Dico questo, ma sto ancora analizzando il fatto.
Convinto al 100% non lo sono, mi piacerebbe sentire, anche quà, i vostri commenti...

DECISIONI DRASTICHE

Ogni tanto si ha voglia di fare un cambiamento radicale, prendere una decisione drastica da scuotere la nostra vita e farle prendere una nuova strada, prima impensabile.

Mi vien da riflettere che è un bene che ci sia questa voglia di cambiare, anche completamente. Sostiene l'evoluzione del nostro essere, permette che la persona non muoia, che continui ad esistere esternamente ed internamente, anche nei desideri.
Mi vien anche da pensare che può essere rischioso.
Seguire d'istinto questa voglia dentro senza meditarla prima ci può portare infatti dove non avremmo voluto "sbarcare"...
... ed avere, magari, grossi rimpianti.

Decisioni radicali comportano scelte importati che vanno meditate, sentite non solo una giornata, perchè quel giorno o quel periodo eravamo stranamente incoscienti, ma provate con costanza, direi quotidianamente. Infatti succubi di uno stato emotivo particolare, perchè in quel periodo siam stressati, perchè abbiamo mille cose per la testa che ci rendono diversi, siam più soggetti a prendere decisioni sbagliate.

Non dico di soppesare la vita nella sua interezza, ma di avere un poco di accortezza quando il peso di una scelta aumenta, usare tutta la razionalità spremibile dal nostro grigio e spugnoso cervello.

L'istinto gioca brutti scherzi.
Siete d'accordo?

giovedì 29 maggio 2008

PER LE VIE: PARTE PRIMA - L'AURA DELLE PERSONE

Cammino per le strade
come un bimbo curioso
con gli occhi che cercano
timidi un incrocio di sguardi
o un fugace contatto
con chi mi passa accanto.

Strane emozioni si posson
captare, aura ricoprente:
mi investi spietatamente.
E da questo giuoco s'annusa,
come se questi trasudasse
tutta l'energia che possiede,
l'allineamento nell'indole,
in quell'istante infatti si coglie
uno scatto fugace della vita
e di tutto il suo cordoglio.

PER LE VIE: PARTE SECONDA - L'UOMO INSICURO

.
.
.
Cammino per le strade
come un uomo insicuro,
i miei occhi veloci scattano
da un viso all'altro, timore
che questi mi ricambi
o che scopra che stò sbirciando.

Adocchio poco più avanti
che una donna che sospinge
una sedia a rotelle ricolma
sta per passare al mio fianco
in direzione opposta.

Non devo guardare chi alberga
su quella poltrona vagabonda,
Il solo pensiero mi sgomenta,
ho paura che un rintocco di
sguardi con quell'essere
turbi la mia quotidianità,
così lontana e perfetta
che temo si contamini.
Ho paura che mi infetti
con la sua truce malattia.
Non voglio scoprirmi con l'anima
deforme, mi giro, non mi osservo.
..
.
.

PER LE VIE: PARTE TERZA - XENOFOBIA INVERSA

Cammino per le strade
come un uomo leggiadro
ma che in realtà trasporta
sopito il peso d'un sospetto.

Porto segregata in me,
in una piega del mio animo
strampalato, la consapevolezza
che la mia gente disprezza
condanna e si previene
nei confronti degli immigrati.

Nutro perciò una vergogna
vera e incommensurabile
come se io stesso concorressi
a quelle colpe esecrabili,
divento inconscio portatore
di questo pesante fardello.

Sospetto che mi appesantisca
lo sguardo incurvandolo
a terra, ai miei cauti piedi,
ogni qual volta che incontro
la vera vittima di questo pregiudizo.

lunedì 26 maggio 2008

LENTAMENTE MUORE - P. NERUDA

Lentamente muore

Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all'errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul
lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un
sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente
chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i
giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non
fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli
chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore
del semplice fatto di
respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà
al raggiungimento di una splendida
felicità.

(P. Neruda)

MA PERCHE'?

Ma perchè il mondo è così stramaledettamente grande e bello?

Ho appena scaricato la nuova versione di google earth, e scopro che dalla vecchia che avevo io sono aumentate a dismisura il numero e la qualità delle foto digitali legate ai luoghi.

...Goduria!

In pochi clik viaggio da una spiaggia deserta della Nuova Zelanda, ad una ripida scogliera nell'Oregon, a Cuenca città spagnola e poi in Canada su di un lago tra cime innevate e paesaggi mozzafiato per finire in un'isola dell'atlantico a gustare tramonti, caschi di banane e acque cristalline. In un ora ho visto foto come se avessi fatto 5 mesi di viaggi ininterrotti. E' una droga.
E nell'assunzione di codesta sostanza stupefacente, le foto di google earth, non posso far a meno di concepire l'idea che 24 anni trascorsi qui, per quanto bella sia la mia terra e per quanto la ami, sono, parlando di dare piacere ai sensi, letteralmente sprecati.

I miei occhi potevano gustare molto ma molto di più, e non solo loro.

Mi vien da pensare che ogni immagine che mi si stampa sulla retina per la seconda volta equivale a collezionare una figurina doppia. Che me ne faccio?
Devo dire che col palato ci ho dato dentro, ho esperimentato soddisfacentemente numerose ricette, ma non avevo mai capito in verità le potenzialità assurdamente infinite che ci offre il mondo intero, non solo come profumi e gusti, ma anche come meraviglie da ammirare.
Oso pensare inoltre, tra tutto questo viaggiare informatico tra clik e foto e sussulti, a quante vite mi servirebbero, se potessi mai intrappolarle in una giara e usarle una ad una al loro svanire, per poter vedere tutti i posti del mondo, o per lo meno solo i più belli.

Capisco infine che questo finito vastissimo di posti risulta alla mente infinito e non è minimamente raggiungibile da un essere umano nella sua cortissima vita.
Ovviamente non abbiamo la vita fatta su misura per poter vedere nemmeno una piccola frazione di mondo. Dobbiamo accontentarci di vedere molto ma molto meno.

Che nervoso!!

Sicuramente credere quindi che la felicità stia nel riempire la cisterna della nostra esistenza con più possibili immagini e piaceri sensoriali, per quanto appaganti siano, è una concezione troppo arrogante e semplicistica, implica infatti da un lato la nostra immortalità, necessaria per godere di tutto il creato nella sua interezza, e dall'altro che il mondo non sia fatto d'altro che di queste poche cose, per soddisfare 5 umili sensi che qualcuno ci ha donato.

La felicità dimora sicuramente e forse più saldamente anche altri lidi, questa è la deduzione logica che sta sera stanco e assonnato riesco a darmi.

Riesaminerò domani da lucido questo dilemma.

domenica 25 maggio 2008

UNA RESPONSABILITA' SCHIACCIANTE - PARTE TRE

Fantastico.

Se il consumismo fosse una persona con tanto di testa e mente che pensa non credo potrebbe essere più contento, il suo piano ha funzionato talmente bene che è andato oltre ogni sua aspettativa.

Fantastico.

Che idea superba è stata far leva sull'egoismo delle persone, quale genialità plagiare le masse, inculcare nelle loro menti sentimenti d'impotenza di fronte allo scorrere degli eventi.
Se chiedi infatti ad una persona se è felice dello stato delle cose ti risponderà nei modi più disparati e più insensati.

Se le chiedi cosa può fare per il terzo mondo, per gli altri in generale, per migliorare le cose, ridurre le ingiustizie, ti risponderà che non può nulla, aggiungendo una sfilza di argomentazioni insulse alla sua tesi.

Dirà che siamo troppo lontani, che è colpa dei nostri governi, che è colpa dei loro governi, che quando i nostri ci opprimevano noi abbiamo fatto le rivoluzioni, dirà che è questione di popolo, che noi siamo migliori perchè non ci facciamo mettere i piedi in testa e che abbiamo più voglia di loro di cambiare le cose, dirà che non è possibile aiutare con la filosofia cristiana, che non è possibile rinunciare a tutto, che non è possibile partire e fare i missionari, che è impensabile l'idea di fare grandi cose, di fare cambiamenti drastici, soprattutto se si estende la cosa ad un comportamento di massa. Dirà che non possiamo far nulla e che quelle persone in difficoltà devono arrangiarsi da sole, che noi abbiamogià abbastanza problemi qui, e che le basta che loro non immigrino nel nostro paese a combinare casini, che le piacerebbe rispedire le navi cariche di immigrati al mittente...

Ora farò come i sofisti, smonterò queste argomentazioni una ad una.

Siamo troppo lontani?
No. Ci sono modi di aiutare anche da qui, innumerevoli modi diversi per ogni esigenza, se non li si conosce è perchè non ci si è mai informati, e se non ci si è mai informati è perchè in fondo in fondo non ci interessa o non si vuole proprio aiutare perchè si è egoisti.

E' colpa dei nostri governi?
Appunto, il primo passo sarebbe per esempio cominciare a cambiare questi di governi. Dicono che sono lo specchio delle persone che vivono in uno stato. Cominciare a cambiare se stessi e la propria vita, vivere lasciando vivere, con ideali di giustizia che non soffochino mai. I governi cambieranno di conseguenza, specie se si voterà con più testa e meno egoismo, se si semineranno buoni propositi di giustizia e consapevolezza cominciando dalle nostre strade.

Colpa dei loro governi?
Ma se sono persone corrotte dai nostri stati! Occorre informarsi sui governi dei paesi sottosviluppati, leggere shock economy o qualche altro libro di Naomi Klein o scrittori simili se si vuole farsi un'idea di che governi ci siano e perchè sono lì e come ci sono arrivati.

Che devono far le rivoluzioni?
Santa ignoranza! Informazione prima di tutto! Noi abbiamo fatto le rivoluzioni ma dalla parte dei re non c'erano altri stati coi carri armati, mitra e quant'altro. Cambiano i contesti, le situazioni. Fare confronti è grottesco.

E' questione di popolo?
Scriverò un post su questo blog prossimamente contro la xenofobia, e la reputo la massima espressione dell'ignoranza di una persona e della sua paura verso il mondo.

Non si possono adottare soluzioni drastiche e quindi non si fa nulla?
Ma per piacere! Controbatto con un'altra domanda: ci si è mai informati di quali metodi, sistemi, possibilità l'aiuto può assumere oltre alle soluzioni "drastiche"? E' una scusa bella e buona scegliere di non vedere la via di mezzo. Se non la si cerca non la si trova, tutto quà. Sicuramente si deve smetterla di essere così egoisti.

Devo continuare?

Caro consumismo, cara mentalità odierna di impotenza di fronte agli eventi, caro essere umano ricco e occidentale, caro Giacomo, le argomentazioni che mi puoi portare non hanno fondamento, perchè pretendono di giustificare il fatto che vivi nel tuo piccolo mondo, chiuso, cieco pensando solo a te stesso e questo non è possibile. Non hai scuse.
Non puoi voler stare con un piede in due scarpe, se vuoi continuare a vivere così e comportarti come ti è comodo per i tuoi interessi non pretendere di sentirti nel giusto. La morale, l'altruismo non sono argomenti che conosci, quindi non ne parlare. Non indossare abiti di parole vuote, di morale inventata tessuta e ricamata apposta per la tua vita, se vivi decidendo cosa vedere, se quando cammini per strada distogli lo sguardo dalla persona sulla sedia a carozzelle, guardi altrove quando vedi il cieco, allontani lo sguardo dall'handicappato, dal povero, se decidi di non vedere i sfortunati, se fai finta non esistano persone menomate, persone che soffrono povere vicino a te o dall'altra parte del mondo, se decidi di vivere come un cieco di cuore non avere almeno l'arroganza di proclamarti sensibile, compassionevole, persona eretta, etica.
Abbi almeno la consapevolezza che dentro di te ci sono solo ragnatele, armadi vuoti, terreni aridi e carestie.

La povertà che non hai fuori la porti dentro di te.

Almeno di questo siine consapevole.

venerdì 23 maggio 2008

UNA RESPONSABILITA' SCHIACCIANTE - PARTE DUE

Vi chiederete che valori uno possa tirar fuori da un film come l'uomo ragno, classico esempio di film-supereroe. Ebbene, di sicuro che se non hai ragnatele che escono dai polsi non ti conviene buttarti da un grattacielo.


...


Spero di non avervi rivelato la cosa troppo tardi...

...al limite verrò a raccogliervi con un cucchiaino.

Comunque, lasciando perdere quest'ironia macabra, uno svitato come me è capacissimo di trovare la frase illuminante anche in un film come Spiderman.

"...Da un grande potere derivano grandi responsabilità..."

Che ne dite? Illuminante?
Mi collego ora in modo contorto a quanto detto all'inizio del mese.

Le conoscenze che noi abbiamo non sono forse un esempio di "potere"?

Se ci pensate bene, il fatto di vivere la vita che stiamo facendo ci offre delle possibilità che molti non hanno e non avranno mai in tutta la loro esistenza. Avere due lire in tasca o messe via (scusate ma sono rimasto attaccato a questo modo di dire, usare euro non mi piace), il poter studiare, il poter informarsi ed imparare qualcosa, l'aver imparato e appreso conoscenze che hanno rivoluzionato il nostro modo di pensare costituiscono "poteri" che molti non hanno.

Quanti vorrebbero essere al nostro posto?

Pensavo che questi "poteri" che abbiamo si possono tradurre in responsabilità. Una sorta di "sentirsi in dovere" verso i meno fortunati a sfruttare anche per loro queste occasioni, doni, possibilità di cui disponiamo.

Il fatto di essere a conoscenza delle situazioni di fame e povertà che ci sono nel mondo diventa una responsabilità che dobbiamo sentire.
Il fatto di non aver una mentalità chiusa ma aperta, che ci permette per esempio di veder chiaramente come il razzismo sia dannoso ed inutile è una responsabilità che dobbiamo sentire.
Se abbiamo una luce di razionalità dentro di noi dobbiamo sentirne anche il suo peso e farne un uso appropriato.

Voglio dire, mettetevi nei panni di un contadino del Ciad.
Che possibilità avete di cambiare il vostro stato d'essere?
Potrete al limite invece di coltivare cotone metter giù 2 alberi di gomma arabica, se vi va bene, se no è già tanto se riuscite a fare un po' di agricoltura di sussistenza e avere di che sfamare voi e la vostra famiglia durante tutto l'anno.

Pensereste che l'unico modo per far si che le cose cambino sia quello che i popoli economicamente sviluppati sviluppino anche la loro mentalità afinchè questa diventi un po' più altruista e meno egoista.

Vi piacerebbe che vostro figlio raggiunga vivo l'età di andare a scuola e desiderereste sia che esista una scuola sia di avere i soldi per mandarcelo, che impari qualcosa di utile, come coltivare meglio, o come vivere fino a 30 anni evitando aids e malaria.

Se prendo in considerazione che esistono storie così a questo mondo mi accorgo di quanto piccolo sia il mio mondo.

"...è un dovere vedere il mondo, come stanno le cose negli altri paesi..."

concordo pienamente con questa frase e aggiungo, è un dovere anche utilizzare le nostre conoscenze per cambiare il mondo. Il solo aver un'intelligenza per capire queste cose ci rende responsabili verso milioni di persone, responsabili di trasmettere questa consapevolezza e di agire.
Abbiamo possibilità che molti nemmeno si sognano.
Queste possibilità sono poteri.
E da questi poteri derivano grandi responsabilità.

giovedì 22 maggio 2008

COMICITA' IN UNA SCENA QUOTIDIANA

E' strano notare come cambiando l'ora della giornata cambia anche il modo che hanno le persone di andare in giro. Nelle ore centrali, quelle di lavoro, tutti sono indaffarati, è un cammino-corsa, e la cosa strana è che il 90% di chi è in città che cammina lo fa da solo.

La scena che si presenta, che passa per normale ma per me è abbastanza comica, è vedere la città piena di gente dove però tutti sono da soli, qualche studente gode della compagnia dell'amico tra un'ora e l'altra di lezione, ma le altre persone, la maggioranza, cammina veloce e sola. Nessuno fa caso a chi incontra, o testa bassa e passo lungo, oppure testa tra le nuvole e occhi nelle vetrine. Nessuno che parla, che ride, che chiacchiera.

Sembra di essere in una fabbrica. Tutti che corrono, che sono indaffarati, che hanno qualche compito-lavoro, nessuno che parla o saluta per paura del capo che si lamenta. Migliaia di persone ad un passo l'una dall'altra che camminano sole.

Mi fa ridere la comicità di questa contraddizione: vedere la solitudine in una moltitudine di persone. E ciò che mi fa più ridere è che lì in mezzo ci sono anch'io, solo come gli altri, con le mie cose da fare, con i miei pensieri, ma sempre ed inspiegabilmente da solo tra tutta questa gente.

mercoledì 21 maggio 2008

AMAREZZA

Una ventina di persone di tutte le età, disposte a cerchio, sta discutendo del viaggio fatto in una sala piuttosto grande, povera con le pareti di cemento grigio non intonacato, inframmezzato da piccoli ganci sui quali si usano appendere le amache. Una stanza ridotta all'essenziale, nessuna mobilia, qualche finestra e molte sedie.

Come ultima tappa il gruppo si trova ora in una grande città, sull'oceano atlantico, una città piena di contraddizioni, una specie di porta dimensionale tra due mondi completamente differenti, quello della ricchezza e quello della povertà. Devono preparasi al ritorno, capire se quel che è stato vissuto nel mese precedente rimarrà dentro ciascuno come un sogno vago e lontano o se il buon contadino ha trovato della terra fertile nelle anime dei presenti dove piantare il seme della verità.

Ora il pastore sta parlando e tutti rimangono in silenzio ad assaporare le sue parole. Non sono le solite parole vuote alle quali ognuno è stato abituato fin dalla nascita, sono parole diverse, dense, cariche di significato, parole che riescono a toccare l'anima e farla vibrare. Vien voglia di mettersi a piangere dall'impeto delle emozioni che crescono e divampano senza chiedere il permesso nel petto dei presenti.


Nessuno ha mai immaginato che parole e silenzi così intervallati potessero avere tanta importanza, essere tanto solidi da poter far quasi male. La compostezza del mondo ricco occidentale, la falsa dignità che si è abituati ad indossare quotidianamente cade come foglie secche ad un vento impetuoso autunnale.

Così, lentamente, spontaneamente, i silenzi vengono riempiti dalle parole di ognuno che raccontano i propri pareri sul viaggio...

C'è chi le pronuncia con fervore, chi con cautela, chi con timidezza, chi con riluttanza...
Si susseguono parole fioche, leggere, parole tuonanti, parole sommesse o strappate tra le lacrime, tutti si esprimono, aprono il loro cuore, mettono i loro sentimenti su di un palco visibile a tutti.
I loro cuori si abbracciano, si toccano, si sussurrano.
Tutti sono contenti dell'esperienza fatta.

Il pastore è molto compiaciuto.

La sala ha l'aria densa di sentimenti talmente forti che sembra strano non si siano spezzate le pareti, il suono di qualche macchina che passa veloce nella via affianco e l'aria dell'estate circondano lontani questo spazio trascendente, vero, puro, sostanziale che si è creato.
La realtà dei sensi è lontana, solo il battito del proprio cuore e le parole dei compagni riportano alla mente che si è presenti.

Cala nuovamente il silenzio, tutti hanno parlato, mancano solo due persone all'appello.
E' il loro momento, tocca a loro parlare.

Ho la bocca impastata, il cuore ai mille.

Io sono uno di loro due.






Non ho parlato.
Non ho detto nulla.
Sono rimasto in silenzio.
Non ho condiviso ciò che provavo.

Perchè i miei sentimenti erano diversi.
Erano negativi.

Non mi sentivo di dire a tutti che il viaggio era stata una perdita di tempo, perchè così credevo in quel momento, ero arrabbiato con tutto e tutti. Non volevo dire ai presenti che non mi era piaciuto, che non sapevo cosa pensare, che mi sentivo completamente disorientato e non capivo me stesso, non capivo quello che provavo e non mi sentivo affatto bene. Ero nauseato e non sapevo perchè, ero nauseato e l'unica cosa che sapevo era che non mi piaceva affatto. Volevo scappare, sentivo che se avessi proferito parola sarei scoppiato a piangere, probabilmente mi serei reso vulnerabile, avrei detto la verità, che non ero contento, che non stavo bene, avrei deluso tutti, avrei fatto intravedere la mia pochezza.
Dopo quel viaggio la verità è che io stavo peggio.

Tutti dicevano che era stato bello.
Che stavano meglio, che erano cresciuti.
Che avevano imparato molto.
Visto molto.

Non volevo ammettere pubblicamente che io non avevo imparato nulla.
Non volevo piangere, perdere quel poco di dignità falsa che mi era rimasta.

E mi ci sono aggrappato con tutte le forze.
Testa bassa, labbra serrate, occhi fissi sul pavimento.
Sono diventato un riccio, la pelle è diventata una pelliccia di aculei e appena mi son sentito al sicuro, barriere alzate, difese attivate, ho alzato gli occhi per affrontare gli sguardi degli altri.

Erano pregni di indifferenza.

Guardo negli occhi il pastore.

I suoi erano colmi di delusione.


Solo un'altra volta nella vita mi sono sentito così piccolo, così perdente, così deludente, così privo di significato, così povero dentro.
Ho perso tutti i contatti con quei compagni di viaggio.
Ho ricominciato la mia vita da dove l'avevo lasciata.
Ho ricominciato che ero ancora più confuso di quando ero partito.
Ancora più arrabbiato.
Ancora più orgoglioso, superbo.

Forse dopo questi anni che sono passati devo ancora capire che razza di viaggio è stato. Ci ho pensato molto, ho riflettutto molto. Ma evidentemente non abbastanza, perchè spesso sogno di tornare indietro, in quella sala, e mi chiedo se avrei ora il coraggio di parlare. Oggi, dopo cinque anni, sento che potrei dire anch'io qualcosa di positivo, sento che potrei dire anch'io cosa ho imparato. O almeno cosa credo di aver imparato per quello che ci ho riflettuto.
Ma non posso.
Tornare indietro non è possibile.
Non posso cancellare quell'amarezza che anche oggi, quando ci ripenso, mi invade la bocca e la gola come il peggior infuso di radice di genziana.


E' brutto portarsi dietro dei rimpianti.

martedì 20 maggio 2008

POESIA - MONDI CHE S'INCONTRANO

Guardo oggi alla mia vita
e vedo un "viavai" di persone,
ognuno ha i suoi pensieri,
le sue preoccupazioni,
i suoi desideri,
ambizioni,
filosofie,
comportamenti,
esperienze,
conoscenze...

Guardo oggi alla mia vita,
guardo attraverso i miei occhi,
osservo e vedo il mondo:
vedo il mio mondo.

E' lo stesso per tutti?
O con altri occhi
si vedon mondi diversi?

Ogni persona è un mondo,
ed ogni mondo è diverso
e si distingue dall'altro
perchè ognuno possiede
un paio d'occhi diversi.

Ad ogni incontro che faccio
due mondi si avvicinano,
a volte si guardano,
si spiano, si contemplano.
A volte nemmeno s'accorgono
di non esser soli,
viaggiano paralleli
come due cavalli con paraocchi.

Guardo oggi alla mia vita
e mi sale una grande nostalgia.
Quanti mondi sono entrati
e poi usciti dal mio
senza che me ne accorgessi?
Quanto tempo ho viaggiato
senza sbirciare nemmeno
nel mondo che mi stava affianco?

Guardo oggi alla mia vita
e mi sale una grande felicità.
Quanti mondi sono entrati
nel mio rendendolo migliore?
Sono la tela su cui le mani sapienti
dei mondi che ho incontrato
hanno dipinto la mia vita,
e su questa tela
posso continuare a dipingerci anch'io.

DELUCIDAZIONI...

Mi hanno detto che forse è meglio far notare alcune cose, che io magari reputo sottintese, ma che in realtà non lo sono affatto.

Provvedo subito.

Non mi tiro seghe mentali dalla mattina alla sera, non ho intenzione di vivere da vittima piangendomi addosso, non sono depresso.

Scrivo perchè mi piace scrivere, scrivo perchè mi aiuta a riflettere, a pensare e vedere la realtà sotto altri punti di vista. Scrivo per immedesimarmi in molte situazioni diverse, scrivo per viaggiare dentro me stesso e fare un poco di autoanalisi, scrivo per migliorarmi, scrivo perchè così mi obbligo a prendere un poco di tempo in questa frenesia quotidiana per pensare un poco di più, perchè ho capito che non pensare mai ti porta a subire la vita, o più semplicemente, a non viverla intensamente. Scrivo per dar parole a ragionamenti e discorsi che mi saltano in mente mentre vado in macchina o quando vado a dormire, pensieri, pensieri che muoiono dentro di me, soffocati dalla mancanza di tempo di lasciarli correre ed uscire, soffocati spesso perchè mi sembrano strani, troppo complessi o semplicemente perchè, in quel momento che mi saltano, non c'è nessuno con cui condividerli.

Sono stufo di non fare certi discorsi perchè me li dimentico o perchè non trovo il momento adatto per tirarli fuori.

Così in questo blog il momento sarà sempre adatto, per me, ma anche per voi.


Ergo scrivo.

E se volete scrivere anche voi pensieri o ragionamenti su queste pagine fatemelo sapere, vi lascio volentieri spazio aprendo una discussione tutta vostra. (anche anonima se non volete firmarla)

Per concludere:
sono molto felice!
Very very happy.

Grazie a tutti di essere qui partecipi,
a presto con un nuovo post!

domenica 18 maggio 2008

RIVELAZIONE

Stavo pensando che in fondo in fondo io non voglio cambiarmi.
Perchè se la strada la conosco, se capisco come dovrei comportarmi, se ho in testa quale via dovrei percorrere per diventare migliore e non lo faccio, vuol dire che non desidero il cambiamento, o almeno non abbastanza.

Volere è potere dicono.

Sono d'accordo.

Se non cambio-miglioro è per comodità.
Pura comodità a comportarmi male o come non dovrei.
Son cazzate le scuse che non riesco perchè qui o perchè lì.
Se non riesco è perchè non lo voglio abbastanza, solo questo e nient'altro.

Sono quindi un grande egoista.
E soprattutto incoerente.

Sono fortunato che il titolo del blog è "filosofia dei miei pensieri" e non "il mio cammino per migliorarmi" perchè se no sarei fregato, questo sarebbe l'ultimo post, la verità a cui sono giunto.
Quindi scriverò ancora.
(Che sfiga eh?)
Devo comunque cercare altri scopi, perchè se no perde di significato molto di quello che ho scritto, e questa sconfitta, davanti a voi tutti, mi fa sprofondare nella vergogna.
(E questa non è sfiga, me la sono proprio cercata!)

Un grazie ad una persona in particolare che mi ha fatto riflettere con una frase "chicca" sull'egoismo, che magari lì per lì non ho capito, non ho condiviso, e che pure ora ammetto di non condividere appieno, ma che mi ha portato comunque a questa riflessione-rivelazione.

Ve la riporto:

Un uomo appena finito di meditare dice alla moglie:
"Ho capito che non ti amo perchè amo solo me stesso."
e lei:
"Anch'io amo solo me stessa."
...E questa è la più grande sincerità che si possa avere.

Questa frase mi sconvolge nella sua interezza, ho paura di scoprire verità tremende al solo pensarci, ho paura di ragionare su questi discorsi.
Ho fatto uno sforzo.
Non posso dire di amare solo e unicamente me stesso, ma sono sicuramente un gran egoista.
Spero che chi mi sta affianco o chi mi ha conosciuto non abbia ricevuto solo freddezza, o schiaffi.
Resta comunque il fatto che ho bisogno di voi.
Anche se a volte non lo dimostro.

giovedì 15 maggio 2008

SEI FELICE? STAI GODENDO DELLA VITA?

Stavo notando come delle volte si desideri arrivare a far tutto quando è palesemente impossibile.
Non è nemmeno proprio un desiderio, direi che ci si convince al 100% della propria riuscita in programmi assurdi, della serie " sta sera esco prima con quelle persone, poi con quelle altre, passo a salutare quelli in quel posto e poi chiudo la serata con un biliardino con quell'altro..."
Mi vien da chiedermi se la serata sia da 12 ore...
Poi accade che corri tutta la sera da un posto all'altro, saluti tutti e male.
Peggio ancora, ti stressi, perchè non arrivi dove volevi, trovi traffico in macchina, qualcuno ritarda...

Questo non solo nei progetti di una sera, ma capita sovente anche in progetti più lunghi.

Organizzo la settimana dove quelle ore sono all'università, poi lavoro al part time, poi studio che ho l'esame il tal giorno, ci metto in mezzo anche lo sport che devo tenermi in forma, corso di croce rossa piuttosto che suonare col gruppo, un po' di vita sociale...dovrò anche mangiare qualche volta e forse dovrò anche andare in bagno...dormire? 6 ore a notte bastano e avanzano...

Insomma, una corsa...

...uno stress.

Però, ammesso che riusciamo ad essere ovunque nello stesso momento, non riusciamo a far le cose bene, non abbiamo tempo per noi stessi come avremmo bisogno, non abbiamo tempo per gli altri come si doverbbe e, secondo me, così non si gusta la vita.
Tutto veloce, tutto in fretta, tutto con ansia di non arrivare dopo al tuo prossimo "appuntamento"...

Ma è vivere la vita questo?
o è invece lasciarsi vivere dalla vita?
subire gli eventi?

chiaro che hai scelto te i tuoi impegni, ma stai gustando i momenti che vivi o in realtà stai faticando per il futuro?
Ci sarà mai il momento in cui godrai della fatica fatta?
O in realtà non te lo potrai mai permettere?
Non riesci proprio a fermarti? a rallentare? diminuire gli impegni?
riesci a riposare, a pensare, a godere del cielo che hai sulla testa, degli uccelli che ritornano in primavera, del tramonto, a godere di un profumo, di una tazza di thè, di una chiacchierata, di una canzone, di un paesaggio piuttosto che di una camminata, dell'odore che si porta dietro un temporale o una raffica di vento...
o in realtà metti tutto in pausa?
rinvii a dopo il tutto, non ho tempo per divertirmi...perchè devo far questo e quello e quest'altro.
esco dal lavoro corro corro vado di qua vado di là... il resto son sciocchezze.
...e non noto nulla, i miei sensi sono morti.
Vedo ma solo per non andare a sbattere contro un muro, annuso ma solo per capire che sono in bagno a cagare o per capire che ho pestato qulcosa di losco, tocco ma solo per aprire una porta, o per non scottarmi con la mocca del caffè la mattina, gusto ma solo capire che il cibo è in bocca e non infilato in un altro orifizio, sento ma solo per sentire chi mi suona il clacson in macchina, sento solo quando mi suona il cellulare, quando mi parlano sul lavoro o in classe, ma non sento il silenzio della sera, non sento la pace di fermarsi un attimo, non sento una melodia lontana o il canto degli uccellini.

Vivi i tuoi impegni senza capire che non godi gli attimi che vivi.
Ma lasci solamente che scorrano su di te e rimani impassibile, come chi rimane freddo ad una carezza.

Sei consapevole di star vivendo?
Sei consapevole che scorre sangue nelle tue vene, di avere un cuore che batte, una mente che pensa, delle gambe che possono portarti a vedere il mondo?
Sei consapevole dei tuoi sensi, di ciò che provi?
O hai la mente talmente impegnata che non stai mai attento a dove sei, cosa percepisci, che odore ha l'aria che ti circonda...
Sempre in viaggio con la testa in "devo fare quello, dopo devo correre di là, speriamo di non trovare traffico, di riuscire a prendere il treno..." ma mai con la testa nel presente, sempre proiettata nel futuro ma mai dentro te stesso, a capire dove stai mettendo i piedi, quali persone ti circondano, di cosa hanno bisogno, cosa provano...
O semplicemente: hai il tempo per chiederti se sei felice?
O non hai nemmeno questo?
O corri perchè speri che facendo così sarai più felice in un futuro?

Stai godendo della tua vita?

Se ti capitasse qualcosa di orrendo, potresti dire che almeno te la sei goduta?
O non sapresti nemmeno descrivere quali sono i colori e gli odori dell'autunno?
Avresti solo rimpianti di non aver vissuto, di essere stato sempre di corsa come un imbecille?

Se perdessi la vista potresti dire di aver osservato il mondo?
Se perdessi l'udito potresti dire di aver alcoltato il mondo?
Se perdessi l'uso delle gambe potresti dire di averle usate godendo di esse o solo per correre stressato?
Se perdessi la parola potresti dire di aver detto quello che avresti sempre voluto dire?
Se perdessi il gusto e l'olfatto potresti dire di aver goduto dei cibi, delle bevande?


Non sarà giusto vivere da cicale tutta la vita, ma nemmeno sempre da formiche.


Diamo un limite ai nostri impegni, troviamo il tempo per gustare il momento che stiamo vivendo.

Basta con la filosofia del "quando sarò in quel posto allora sì che mi divertirò, sì che sarà bello!"
Aspetto a divertirmi-gioire-essere felice di essere in discoteca, di aver bevuto, di aver comprato questo o quello...
Perchè felici solo in poche occasioni?
Che ci manca?

E' un insulto a chi non può più fare certe cose.

Se ragioniamo con la filosofia del correre l'oggi diventa privo di gusto.
Tutto avrà gusto se e solo se capita questo, se e solo se sarò lì, andrò là...
Ma perchè scusa?
Che senso ha?

Oggi è fantastico, apriamo gli occhi.
Il vivere, la felicità, la bellezza: è oggi...
...e in ogni giorno.

Non nel domani.
E' sicuramente nel presente.

mercoledì 14 maggio 2008

MIGLIORARSI - PARTE PRIMA

Non capisco perchè, cos'è, come mai quando riguardo al me stesso di qualche anno fa provo un senso di disgusto. Non che oggi non stia bene, anzi. Direi che son piuttosto orgoglioso di come son cresciuto, della persona che son diventato, ma se mi osservo un paio di passi indietro mi vedo piccolo, stupidissimo, vergognoso.

E dire che mi basta pensare un poco di più, essere un attimo più attento, per capire che anche oggi ho dei difetti, se non son gli stessi di qualche anno fa son diversi, ma comunque sono in cammino e mi migliorerò, cambierò di nuovo e in un futuro magari guarderò al me stesso di oggi provando grande vergogna.

Come chi non si accetta oggi, noto che tendo a rifiutare il me stesso di ieri, perchè e che senso ha poi? Non lo capisco...

Forse è solo un modo per ingannarmi, autoconvincermi che non ero così scarso.
Mi sembra come se non volessi accettare gli errori che ho fatto, come se desiderassi di cancellare quel che ero con quel che sono oggi, inconsapevole che se sono così è grazie alle esperienze che ho vissuto.

"Non accettare il se stesso di una volta" non penso sia molto diverso dal "non accettare il se stesso di oggi" perchè in entrambi i casi si tratta di riufiutare di essere limitati, piccoli, fallibili, di fare degli errori.

Ma rifiutare questo non è allora la stessa cosa di riufiutare di doversi migliorare?

Come possiamo solo sperare di migliorarci in qualcosa se rifiutiamo l'idea di averne bisogno?
Se non accettiamo i nostri difetti non possiamo sperare di superarli.
Umiltà innanzitutto,
ed io ne ho estremo bisogno.

lunedì 12 maggio 2008

GLI STESSI ERRORI...

Ripeto sempre gli stessi errori.
E' incredibile.
E' altremodo snervante, deprimente.
Mi fa capire che la lotta per migliorarsi è continua, serve costanza e positività.
Devo trovare energie nuove, risorse, rialzarmi instancabile ogni volta che inciampo e cado a terra, altrimenti non arrivo dove desidero.
Pensavo che la strada fosse più corta, ho scoperto invece che è molto lunga.
Potevo immaginarlo...
Probabilmente non si finirà mai di combattere, non potrò mai essere soddisfatto, potrò accettarmi invece come imperfetto, come persona che anela al miglioramento, che cammina ogni giorno in una direzione, cadendo e rialzandosi, sempre.
Posso trovare una pace in questo.
Ho capito anche che non devo abbatermi quando mi scopro sempre nello stesso errore, non lasciar mai che lo sconforto abbia il sopravvento, e che ho persone su cui contare sempre, che mi danno una mano a rimettermi in piedi.
Basta chiedere.
Spesso non serve nemmeno quello.


...grazie.

Vi voglio bene!

...TI voglio bene.

giovedì 8 maggio 2008

MALELINGUE? NO GRAZIE, DAGLI UNA SECONDA OCCASIONE

Non chiedetemi dove trovo il tempo di scrivere, so solamente che mi piace, e che se guardo la posta ho sicuramente anche un quarto d'ora per il blog.

Devo dire che questo spazio web mi aiuta molto a riflettere, su tutto in generale, su me stesso, su molti aspetti della vita cui non davo importanza, o a cui l'avrei data se solo ci avessi pensato prima.

Oggi, per esempio, mi piacerebbe parlare con voi delle malelingue.
Argomento scottante, vastissimo, curioso ed attuale.


Prima confessione: mi capita a volte di parlare male di qualcuno.

E' giusto?
Non penso.
Col senno di poi mi sento stupido, uno sfogo inutile che non ha causato altro che alimentare una rabbia, un fastidio dentro che mi fa stare solo peggio. Stavo meglio se non ci pensavo.
Però quanto è allettante l'idea di sfogarmi? Di far partecipi le altre persone di quello che provo?
Al momento è una liberazione, mi lascio andare, non mi sembra vero di trovare qualcuno disposto ad ascoltare questi discorsi, e che forse mi da pure ragione, anzi, mi darà sicuramente ragione, mi asseconderà, alimenterà il mio odio, mi dirà che faccio bene a pensarla così... mi divampa dentro il piacere di esternalizzare lo stato di insofferenza che porto sopito, ma ben custodito, pronto a risvegliarsi e riprendere controllo delle mie emozioni al primo accenno, è la frustazione di aver sopportato taluni atteggiamenti che giace negli iterstizi più nascosti del mio animo.

Che ignobile virus!

Mi scuso ogni volta pensando che è un comportamento normale, che tutti lo fanno, magari più spesso e con più fervore di me, e che ogni tanto è legittimo sfogarsi.
Ma chi voglio convincere?
Chi?
Me stesso forse?

...che illusione...

...mi derido per la mia ingenuità.
Alimentare l'odio non va bene, mai, in nessuna situazione.

Analizziamo ora il tutto sotto un'altro punto di vista.

In quest'ultimo anno mi è capitata una situazione opposta, strano evento ma che mi ha fatto riflettere. Alcuni miei amici si sono comportati in modo poco carino ad una cena a cui eravamo invitati ed il padrone di casa si è arrabbiato non poco con loro. Gli ha praticamente tolto il saluto.
Sono passati dei mesi da allora e questa faccenda è stata tutt'altro che dimenticata.
Invero assisto ad un'epidemia delle malelingue.
Questo "padrone di casa" serba il rancore dentro di lui e non gli sfugge occasione per parlare male degli altri ragazzi, vedo purtroppo che il suo risentimento è contagioso, anche chi prima nulla aveva contro i ragazzi ha cominciato a sparlare, e devo dire che mi son salvato per un pelo dall'infezione, ho sentito dentro la voglia di aggiungermi alle malelingue, di fomentare. Ho cominciato, senza che me ne rendessi conto, a provare fastidio ogniqualvolta vedevo questi ragazzi, ho assorbito l'odio di altri e l'ho fatto mio.

Non appena mi sono accorto di questa cosa ho avuto paura, perchè mi credevo immune, estraneo alla faccenda e quindi perfettamente imparziale, corretto.

L'odio, le malelingue, chi fomenta discorsi maligni sulle altre persone non si accorge che il modo, o la frequenza, o proprio l'essere lì a sparlare, disturba i rapporti sociali anche delle altre persone, è come un malato di influenza che starnuta su tutti quelli che incontra.

Sono emozioni negative che si alimentano l'un l'altra, e quel che è peggio, procurano a chi ne è vittima una situazione molto spiacevole, che spesso non si merita.
Per prima cosa gli si nega la possibilità di cambiare, di migliorarsi.
Gli si nega la "seconda occasione", che a mio avviso andrebbe data a tutti.
Questo perchè chi ha sentito le malelingue diviene prevenuto, freddo, o astioso nei confronti della vittima.
E per seconda cosa è possibile che gli si rovinino i rapporti sociali, le persone tendono ad "escludere" e dividere, a creare gruppi più piccoli. Si fa unione nello sparlare, si condivide qualcosa che non andrebbe detto, e ci si sente più uniti, "abbiamo condiviso un segreto, ci sta antipatica la stessa persona, entrambi ne parliamo male, quindi mi sento più vicino, unito, ho il mio compagno d'odio!"

E' raccapricciante.

Quindi aggiungo alla mia lista dei "vorrei" anche questo:
"Vorrei imparare a star zitto, a non fomentare, a non parlare male di nessuno."

mercoledì 7 maggio 2008

UNA RESPONSABILITA' SCHIACCIANTE

Ho un dubbio che vorrei condividere, ve lo spiego.

Penso sarete tutti d'accordo che io di reggicalze gonne stiracapelli non me ne intendo, come non me ne intendo di progettazioni di macchine di case o di ponti, sono ignorante di idraulica e di anatomia umana, di storia come di arte e di storia della musica...

Ora spiegatemi come posso dare un mio giudizio, coerente valido sensato razionale, su una materia di cui ne so pochissimo o nulla.

Come posso sapere quale stiracapelli è meglio e quali reggicalze stringono di più o di meno? come costruire un ponte e quali materiali usare? come posso dare un giudizio sul comportamento di Mazzini se me lo sono dimenticato? (ammesso che l'abbia studiato in un trapassato remoto)

Ditemi ora che senso ha votare su questioni politiche se di scienze politiche non ne sappiamo un fico secco. E' come chiedere al meccanico dell'angolo se sull'altipiano di Pinè è meglio piantare chardonnay o sangiovese. Che senso ha il suo parere se non ha nozioni scientifiche tecniche che gli permettano di esprimere una risposta che abbia qualche senso? Oppure chiedere a me se è meglio montare l'Allison V-1710 su un lokheed p38 piuttosto che su un curtiss p40? ma se non so nemmeno cosa sono! (nomi astrusi di motori presi a caso da wikipedia)

Insomma, diciamocela tutta, cosa ne sappiamo noi di contabilità nazionale, di diritto comunitario, di economia politica e cose di questo genere?

Non so voi ma io molto poco.
La mia idea si forma dalle poche conoscenze che ho, e quelle poche sono le argomentazioni che porto alla mia tesi. Ma non vado più in là di un palmo dal mio naso. Mi scopro limitatissimo, ignorante. Potrebbero rigirarmi la frittata moltissime volte, non so come stanno le cose, non conosco le verità, non so come districarmi nel groviglio di vantaggi-svantaggi che comporta una decisione politica.

Non riesco a far luce su questo dilemma, come è possibile che per votare con logica e con testa occorra un laurea?
ci siamo specializzati a tal punto?

eppure quanti di voi potrebbero esprimersi a favore o contro la distillazione di crisi o gli aiuti ai mosti concentrati? quanti pro o contro allo zuccheraggio? sapreste prendere posizione senza saper nulla o quasi? dire se siete pro o contro la Fisher del 2003 senza sapere i risvolti sottili che una decisione o l'altra portano sull'economia, sul benessere sociale?

io dubito anche di sapere-capire cosa sia questo benessere sociale...

Come possiamo dare un giudizio, un voto a dei politici basandoci solo su uno stemma un logo? senza leggere i loro programmi e capirli e soppesarli e valutarli?

Dunque, secondo voi serve una laurea per votare in modo sensato?
Non vi secca avere questa responsabilità sulle spalle e votare da ignoranti?
Non vi scoccia l'idea di dover dare un voto che deciderà la vita di molti, avere sulle spalle il peso di una scelta, di una decisione, che porterà a cambiamenti che nemmeno vi immaginate?
Non sentite il peso della responsabilità che un voto ha non solo nel proprio interesse ma nell'interesse di tutti? Che potete rendervi complici non votando o votando disinformati della sofferenza di migliaia e migliaia di persone?

Se penso in questi termini questa responsabilità mi schiaccia, mi disarma, mi rende consapevole di una verità tremenda a cui non avevo mai pensato e che ora pesa come un grandissimo fardello sulle mie spalle.

lunedì 5 maggio 2008

ANCORA SILENZIO, PARTE SECONDA!

Mi chiedevo se le persone silenziose non siano oggigiorno in grande difficoltà.
Pensandoci ci si accorge di quanti pregiudizi molti abbiano dei timidi, degli introversi, dei silenziosi di fatto, dei taciturni o dir si voglia.

Chi è di poche parole tende a mettere in imbarazzo l'interlocutore?

Io direi piuttosto che il suo interlocutore si sente in imbarazzo perchè non è avvezzo al silenzio, ne ha paura, lo teme.

Quanti temono il silenzio?

Non posso dire di esserne escluso, a volte temo il silenzio, specie quando ho bisogno di risposte, di conferme che la persona che sta al mio fianco si trova bene. Spesso un silenzio è facilmente ed erroneamente interpretabile come l'affermazione contraria, che il taciturno non sta bene, non si diverte, oppure interpretato addirittura come una manifestazione di antipatia nei propri confronti.

Se non hai nulla da dire significa che ti sto antipatico.

Penso che la verità nascosta sotto questi comportamenti sia la forte insicurezza che molti al giorno d'oggi, io per primo, si portano dietro, motivo per il quale temono il silenzio, desiderano continue costanti prove e controprove di essere accettati, di essere simpatici, di valer qualcosa, di essere qualcuno...

Se solo ci si accontentasse di chi realmente siamo non credo avremmo più paura del silenzio, non credo avremmo più bisogno di continue prove che gli altri stanno bene con noi.

E manifestiamo uno stato di stress, siamo stressati dall'idea di dover piacere agli altri e, credetemi, traspare dai nostri comportamenti, se siamo agitati, se non stiamo bene, gli altri lo percepiscono.

Perchè i veri rapporti, come già abbiamo intravisto, si hanno solo con le persone con le quali non ci sentiamo in imbarazzo se siamo in silenzio? Perchè non abbiamo bisogno del loro continuo consenso, perchè sappiamo che ci accettano come siamo realmente, con i nostri difetti. Abbiamo la certezza del loro affetto, non ne dubitiamo. E siamo liberi di essere noi stessi.

Se abbiamo paura del silenzio penso che siamo noi i primi a dubitare, consciamente od inconsciamente, di questa amicizia, perchè abbiamo paura ad aprirci, di far vedere chi siamo realmente, abbiamo paura di non essere accettati, di non "andar bene".

Ma se siamo quasi tutti insicuri e temiamo il silenzio, allora i timidi, gli introversi, sono fregati? Possono instaurare rapporti veri solo con le persone che già hanno una loro sicurezza perchè in caso contrario vengono mal interpretati?

Spero di sbagliare le statistiche, amara realtà se così non fosse.

Sta di fatto che parlando con alcune persone più o meno introverse queste mi confermano che è sempre più difficile per loro instaurare un rapporto di amicizia vero, che esuli dal "ciao come stai - bene grazie", "hai visto che tempo fa? - si, orrendo" e "mica visto l'ultimo paia di scarpe della blabla che è uscito? - Oooo, bellissime!", rapporti di amicizia vera son sempre più rari, difficili da trovare come l'ago nel pagliaio.

Se anni ed anni fa era dura, oggi lo è di più, perchè questo consumismo ha smontato completamente la poca sicurezza che quei pochi avevano, alimentando un mondo dove tutti anelano di essere accettati, spesso a tal punto da spersonalizzarsi e da standardizzare il proprio carattere: tutti uguali come scimmie.

Mi autoinvito, da questo breve momento di lucidità che ho, ad essere più sicuro di me stesso, a mostrarmi come sono, coi miei difetti, con le mie ambizioni, con i miei desideri di cambiare e migliorare, ma senza paura di non essere accettato, senza paura di essere escluso.
Riconosco questo timore come uno dei fardelli che mi impediscono di vivere meglio, voglio gettare al mare questa zavorra, non mi serve.

Se sentite uno "splash" sapete cosa è stato.
Se non lo sentite portatemi un crik, un montacarichi, una gru.