sabato 3 gennaio 2009

SEGUENDO TURNER


Si alzò quella mattina stiracchiandosi come al solito, fece un lungo sbadiglio, guardò l'ora: aveva di nuovo dormito troppo. Non capiva perchè ma in quei giorni il suo intento di riposare solo le otto canoniche ore gli sembrava irrealizzabile. Era chiaro che qualcosa non andava in lui, perchè nei periodi in cui lavorava e si doveva alzar presto al mattino dormiva a malapena le sette ore, spesso anche sei, e non era così stanco quando doveva aprir gli occhi. Forse era poi vera quella storia che più che si dorme più ci si alza stanchi, ma sentiva anche una stanchezza riconosciuta spesso come quella debolezza che precede un'influenza.
Si alzava di malavoglia e dopo il suo goffo saluto al sole, imparato in una mattina guardando i video sul tubo, e somigliava di più ad uno streatching rigido che non ad un qualcosa di mistico orientale, tentava di preparare un buon tè. Si era comperato, tutto appassionato, sei tè diversi ed aveva una vastità di spezie da far invidia, e si dilettava a trovare le combinazioni di sapori più curiose, anche se gli mancava del tutto l'esperienza di infondere le particolari foglie arrotolate nell'acqua alla giusta temperatura. Pertanto ogni differente tè, rovinato in questo modo dall'acqua troppo calda, gli prendeva il classico gusto verde erbaceo tendente alla castagna e lui, quindi, tentava scocciato di mascherarlo inutilmente con un po' di cannella. Inoltre facendo colazione verso le undici del mattino si trovava con la pancia se non piena sicuramente non vuota del tutto all'ora di pranzo e ciò gli provocava grosse difficoltà di digestione. Era il classico personaggio maalox dipendente. Gli avrebbero sicuramente giovato dei ritmi più sani, alzarsi prima al mattino ed essere più attivi, ma in quell'inedia soffriva anche di cuore, lo teneva spezzato, arrotolato nello scotch per farlo funzionare ancora, e non aveva tutta questa voglia, probabilmente anche per questo motivo, di dare una svolta definitiva alla sua vita con la venuta dell'anno nuovo.
Non era il classico depresso che perdeva la voglia di vivere, era il classico studente ripreso in una giornata qualunque in momenti in cui non aveva nulla da fare. Lo zelo di finir gli esami dell'anno precedente così in fretta e la venuta delle vacanze così improvvisa, lo avevano messo in una situazione di ozio a dir poco debosciante. Cominciò a leggere svogliatamente Delitto e Castigo, ma tutti quei pensieri del protagonista, tutti quei problemi psicologici che si trovava ad affrontare, non erano certo un sollievo per lui in quei giorni nè così allettanti da coinvolgerlo appieno, aveva già abbastanza crucci per conto suo, aveva già le sue sofferenze e se aveva voglia di far qualcosa era solo di ingannar la mente e di portarla in uno spazio lontano, amorfo, opaco, senza suoni dove potesse scappar dalle emozioni, dove potesse star là, in totale assenza di sentimenti ad ascoltar qualche storia bizzarra e pensar ad altro e non a se stesso.
Tuttavia i suoi intenti finivano sempre dalla parte opposta, quando non aveva voglia di veder gente si ritrovava al centro dell'attenzione in mezzo agli sguardi degli amici, quando voleva veder gli amici si ritrovava da solo a casa, quando voleva piangere non ne aveva mai il tempo e doveva sorridere di forza e quando voleva sorridere si ritrovava a piangere.
Anche quella volta non finì nel mondo opaco senza emozioni, ma anzi in mezzo alla tempesta della consapevolezza, era legato all'albero maestro della nave nel mezzo del tifone, proprio all'insigne di Turner, quel pazzo inglese, e guardava in faccia quel vento sprezzante, i lampi ed i boati delle saette che lo schivavano per pochi centimetri, si sentiva sull'orlo dell'abisso, a due passi dalla pazzia, e guardava sprezzante, con un coraggio non suo, con una lucidità che non credeva possibile, quell'impeto di passioni, quella macina che partendo dai piedi ne pestava e schiacciava le ossa dell'anima fino a lasciarlo sconvolto, assisteva spettatore al suo cuore protagonista in una battaglia che si risolveva in un bagno di sangue.
Non sapeva se maledire il mondo per le sofferenze che subiva o rendere grazie a Dio perchè poteva conservare la ragione in una situazione simile. Sapeva soltanto che quella sofferenza gli stava scavando il corpo mentre annaffiava pure la sua anima, per farla crescere e per far spazio ai limiti che un uomo di carne inevitabilmente ha, tentando di contenere dei sentimenti talmente grandi e maestosi da poterli definire immensi se non immortali.
E da lassù, legato in cima al di sopra della velatura, in balia del tempo, capiva quanto distava la meta, l'isola infatti non si vedeva ancora, e provava un senso di piccolezza, di impotenza indescrivibile, era la formica del mondo ma allo stesso modo si sentiva parte di quella stessa realtà quanto mai si era sentito prima.


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